"Fa salti di gioia."
"Il suo volto brilla di gioia."
La felicità, incontenibile per natura, indipendentemente dalla volontà del soggetto, traspare, si legge sul volto. Nella sua intensità diventa visibile.
Brilla nel volto.
Anche l'etimologia dice la stessa cosa.
La parola gioia nasce da un verbo greco che significa rendo splendido, dalla parola connessa ad esso che significa splendore, dalle parole collegate al verbo gaio, gaudio latino, che vuol dire ancora una volta splendere. Anche nella lingua tedesca la radice è la stessa.
La gioia non è altro che il risplendere della felicità e quindi il suo espandersi.
Essa fa ambiente, è qualcosa che si porta. Chi è felice ed entra in relazione con gli altri porta questa tonalità. La felicità, nella forma della gioia, crea clima.
E spesse volte la dimensione della gioia è legata all'annuncio, per esempio la buona notizia.
"Nuntio Vobis Gaudio Magno" ( Annuncio grande gioia ) del racconto di natale nel vangelo.
Nel portare la buona notizia c'è la gioia interiore della buona notizia, ma c'è anche il piacere di darla ed infatti non ci si trattiene. Nella vita familiare, nelle relazioni quotidiane, un avvenimento felice non ci si trattiene dal dirlo.
Molte volte si usano tecniche per fare esplodere ancora più intensamente la gioia.
"Non dirlo, non ora, non è il momento più opportuno!"
Perché deve risuonare questa gioia. Trattienila perché risuoni di più.
Portare felicità aumenta la felicità in che già ne possiede.
Ed allora cosa diavolo puoi avere dentro di così brutto e nero da gioire nel mettere sale sulle ferite altrui? Quale abominio oscuro ti permette di riempirti di gioia e rallegrarti profondamente per un gesto vile che porta dolore ?
L'appartenenza non è come la razza; si sceglie.
Adesso lo sai.
Nessun commento:
Posta un commento